La giornata della Memoria
La grande musica come veicolo della memoria. La grande musica per non dimenticare. Vincenzo Mastropirro, sensibile e valente flautista-compositore mi segnala un significativo progetto sulla memoria della Shoah, di cui è uno dei protagonisti insieme ad altri artisti e che sta girando da alcuni giorni per le scuole della Puglia. L’iniziativa è ben illustrata sul suo website http://www.vincenzomastropirro.it/ , che vi invito caldamente a consultare.
Intanto, lunedì 29 gennaio, tra le numerose iniziative di questi giorni sull'argomento, si terrà (alle 19.30) un concerto presso il Kursaal Santalucia di Bari, diretto da Carlo Tenan, con il solista Alessandro Carbonare (clarinetto) e l’Orchestra dell’Accademia dei Cameristi.
L’evento, prodotto dalla “Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari” in collaborazione con l’Associazione musicale “Accademia dei Cameristi di Bari”, rientra nel progetto “Mai più”, promosso dall’Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia e realizzato da “Farm - Produzioni culturali”.
In programma musiche di compositori ebrei del Novecento: Scherzo per orchestra d’archi di Franz Schreker, Concerto per clarinetto e orchestra d’archi con arpa e piano di Aaron Copland e Musica per archi, percussione e celesta di Béla Bartòk.
Per informazioni: Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, Corso Vittorio Emanuele 48, Bari. Tel: 080. 522.80.10, segreteria@fondazioneliricabari.it
Informazioni scuole: Farm Tel: 0832 18.35.712 (ore 9-14) info@maipiu.org /
www.maipiu.org.
Ecco di seguito una esaustiva presentazione del concerto, curata da Detty Bozzi (docente di storia della musica presso il Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari):
“Il concetto di “musica ebraica” pone in campo alcune questioni di particolare rilevanza nella storia dell’umanità. A quale musica ci si riferisce quando si intende usare la categoria di “musica ebraica”: al complesso dei riti liturgici dell’antico Tempio di Gerusalemme o alle Sinfonie di F. Mendelssohn , ai canti polifonici di Salomone Rossi o alla pregnanza spirituale del “Moses und Aron” di A. Schoenberg.
Con acutezza problematica Enrico Fubini nel suo saggio dedicato alla “Musica nella tradizione ebraica” mette in guardia il lettore dall’istituire superficiali relazioni tra il mondo religioso e culturale del popolo ebraico delle origini e facili attribuzioni di caratteri etnici riconoscibili nella produzione musicale: la comunità ebraica si trovò ad operare in una condizione di dispersione in tutto l’Occidente e per molti secoli, passando attraverso il fenomeno dell’emancipazione (“assimilazione e cancellazione della propria identità culturale o libera affermazione della propria identità?” si domanda E.Fubini). Le singole personalità alimentarono la propria creatività in feconda simbiosi con l’ambiente culturale e storico di riferimento.
Anche un altro studioso, Israel Adler, in “Musica ebraica: un viaggio attraverso il tempo”, invita alla prudenza: “la complessità insita in una situazione del genere pesa grandemente sulla possibilità di individuare e definire un contenuto ebraico indicato da etichette quali letteratura ebraica o musica ebraica”. Più semplicemente la musica, arte del tempo e della memoria, linguaggio universale (che non conosce confini geopolitici) è certamente una delle espressioni più naturali della sensibilità umana, segno della civiltà, delle differenze come del rispetto della dignità di ognuno, delle tradizioni come delle convenzioni, ma anche segno della modernità, del progresso e delle rivoluzioni dello stesso linguaggio.
Nel molteplice panorama che la musica ha disegnato nel corso della storia (un lungo elenco di compositori e strumentisti di varia estrazione), la scelta di tre artisti di provenienza familiare ebraica , quali Franz Schreker, Aaron Copland e Béla Bartók risponde ad una finalità non solo conoscitiva ma anche educativa: presentare all’ascolto tre opere profondamente diverse fra loro, ma appartenenti nel loro insieme ad un periodo indubbiamente fra i più significativi del recente passato: la prima metà del Novecento.
Lo Scherzo per orchestra d’archi di Franz Schreker è un breve brano composto proprio nel 1900. Schreker fu direttore d’orchestra e didatta a Vienna e Berlino, ove morì nel 1934. Ebbe come allievi numerosi musicisti e fu costretto al pensionamento nel 1933, con l’avvento definitivo del nazismo. La sua musica fu diretta da celebri personalità come B.Walter, O.Klemperer, E.Kleiber. Schreker fu soprattutto attivo nel campo del teatro musicale. Non manca d’interesse la sua produzione strumentale : lo Scherzo può essere considerato come un movimento di sinfonia, dal carattere brillante e dal ritmo trascinante.
Il grande clarinettista americano Benny Goodman commissionò ad Aaron Copland il Concerto per clarinetto e orchestra d’archi ( con pianoforte ed arpa). Nel 1947 Copland, di ritorno da un giro di conferenze a Rio de Janeiro, ne aveva già delineato il primo movimento. L’opera fu terminata nel 1948 ed eseguita due anni dopo, per la prima volta ,da Goodman, F.Reiner e l’Orchestra della NBC a New York. Il compositore americano, nato a Brooklyn, si formò all’insegnamento di Nadia Boulanger, a Parigi, ed ovviamente subì il forte influsso della musica francese, come anche del carisma di I.Strawinsky. Il suo stile è improntato alle suggestioni del linguaggio jazzistico e della musica popolare americana: soprattutto nel Concerto per clarinetto, come conferma lo stesso Copland, si ritrova “una fusione incoscia di elementi legati alla musica popolare dell’America del Nord e del Sud”.
Il brano inizia con un movimento lento ed espressivo, nel quale le volute melodiche dello strumento solistico si distendono con assoluta morbidezza e pacata cantabilità sull’accompagnamento discreto degli archi. Una lunga cadenza virtuosistica ,affidata sempre al clarinetto, prepara il secondo movimento, frenetico, caratterizzato da frequenti cambiamenti ritmici, nel quale la scrittura privilegia i pizzicati degli archi , i fraseggi corti e spezzati e i notevoli cambi di registro dello strumento solista.
Béla Bartók può essere considerato uno fra i più importanti maestri del primo Novecento: negli anni fra il 1936 ed il 1940 videro la luce autentici capolavori (Bartók si spense nel 1945 a New York, città nella quale si era trasferito ). La Musica per archi, percussione e celesta (1936), insieme alla Sonata per 2 pianoforti e percussione ed al Concerto per violino, costituisce il frutto della maturità artistica del compositore ungherese. Essa non é solo una delle opere più impressionanti di Bartók: è ritenuta anche una delle pagine più alte della musica contemporanea.
Una nuova scrittura ed una particolare scelta dell’organico (archi,timpani cromatici coi pedali, tamburi, cembali, tam-tam, celesta, xilofono, arpa e pianoforte) sondano, come afferma M. Mila, “la vita segreta della materia: il moto roteante della parti in questo contrappunto germinale sembra quasi un’anticipazione intuitiva di quella vita e mobilità di neutroni e protoni in cui consiste l’apparente stabilità dell’atomo”.
Una polifonia tessuta dagli archi, “si direbbe della seta che si strappa” osservò O. Messiaen, apre l’opera con il primo movimento, l’Andante tranquillo: si tratta di una fuga a “ventaglio”, basata non su un tema, ma su un aggregato di intervalli, proposto dalle viole ed allargato poco a poco alle successive entrate degli altri strumenti. Il secondo movimento é un Allegro dal ritmo marcato, mentre la rarefazione sonora ed il clima di irrealtà sono gli elementi determinanti dello splendido Adagio, che svela “angoscia soggettiva, un doloroso e indecifrabile turbamento, un interrogativo sull’esistenza”.
Il brano si chiude con un Allegro molto, vivace ed imprevedibile, basato su moduli melodici e ritmici delle danze zingaresche, quel repertorio popolare che Bartók ricostruì con somma maestria nel corso della sua attività di etnomusicologo.”
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