Musiche di Čajkovskij e Dvořák per il primo concerto sinfonico al 36° Festival della Valle d'Itria
Le musiche di Čajkovskij e Dvořák daranno vita al primo dei due concerti sinfonici in programma al Festival della Valle d’Itria. Stasera 25 luglio, nell’atrio del Palazzo Ducale di Martina Franca, ore 21.00, confronto tra due grandi autori romantici nel concerto dell'Orchestra intyernazionale d'Italia diretto da l giovane maestro Andrea Battistoni e con la partecipazione come solista del celebre violinista Sergej Krilov (nella foto). Nel 1890, anno in cui era tornato in Inghilterra per dirigere una delle sue più belle sinfonie - l’Ottava del nostro programma (detta anche “L’inglese”), Dvořák aveva riscosso grande successo anche a Mosca e a San Pietroburgo. Era stato Čajkovskij a preparare il terreno per questa sua tournée. I due musicisti si erano incontrati a Praga nel 1888, dove, a due riprese, Čajkovskij aveva diretto concerti e presentato la sua opera Evgenij Onegin, che aveva fatto su Dvořák un’impressione straordinaria. Nacque una specie di sodalizio fra loro. Dvořák regalò a Čajkovskij la sua Sinfonia in re minore, ricevendo il cambio dal collega russo una copia con dedica della Terza suite per orchestra. Naturalmente il successo russo di Dvořák, e la stima per la sua opera, diffusa tra i grandi musicisti russi del tempo, è legata anche a ragioni ideologiche: per loro Dvořák era un autore che veniva in soccorso dall’esterno alla causa della musica russa e slava, contro il predominio dell’opera italiana e del sinfonismo tedesco. La “Polonaise” dall’opera Evgenij Onegin apre il III atto delle “scene liriche” (questo è il sottotitolo dell’opera tratta dall’omonimo romanzo in versi di Aleksandr Puškin), quello della splendida festa nel palazzo di San Pietroburgo in cui il protagonista rivede Tat’jana, l’appassionata fanciulla che il suo gelido cinismo aveva respinto. Ora che la rivede divenuta principessa amata alla corte dello zar, cambia idea, ma è troppo tardi: donna dai sentimenti calpestati non dimentica! Anche il Concerto per violino è una pagina molto nota al pubblico, ma da sempre poco amata dalla critica, che lo considera la Cenerentola dei Concerti per violino, una paginetta languida ed esagitata. La prima stesura dell’op. 35 nacque a Clarens, sul lago di Ginevra, nella primavera del 1878. Il musicista si trovava in Svizzera con l’amico e allievo Josif I. Kotek, un giovane e buon violinista. Ma il dedicatario intimo dell’opera non lo suonerà mai: rimase sempre una pagina troppo difficile per la sua tecnica. Prima di lui aveva rinunciato anche Leopold von Auer, un violinista ungherese attivo in Russia, noto didatta che avrà fra i suoi allievi Heifetz e Milstein. Alla fine, il 4 dicembre 1881, lo suonò Adolf Brodskij in prima assoluta a Vienna. I tre anni passati fra la stesura e l’esecuzione vennero trascorsi tra le proteste degli esecutori per le difficoltà che volevano eliminare e le resistenze dell’autore a fare cambiamenti. In effetti, come nel famoso Primo concerto per pianoforte, il virtuosismo sta alla base del Concerto per violino, soprattutto nel primo e nel terzo movimento. È uno dei concerti più difficili di tutta la letteratura per violino, soprattutto per il carattere vitale, esuberante che deve emergere dalla vivacissima trama sonora. Il primo tempo, “Allegro moderato”, ha una forma assai libera, secondo una modalità tipica di Čajkovskij. Il virtuosismo non è d’intralcio all’enfasi e alla cantabilità suadente e appassionata. La “Canzonetta” centrale, in tempo lento, ha pure un carattere lirico, ma è una pagina più intima. La forma è semplice: introduzione, primo tema, secondo tema, ripresa del primo tema e chiusa con elementi tematici dell’introduzione. L’ “Allegro vivacissimo” finale, direttamente collegato alla Canzonetta, è di un virtuosismo scatenato. L’inesorabilità ritmica si può ricondurre a modi del folklore russo e in particolare della danza. Dvořák, povero figlio di un macellaio della campagna boema aveva a lungo tirato a campare suonando in orchestra e pubblicando le composizioni a sue spese. Il musicista concorreva nel 1875 a una borsa di studio statale per artisti “poveri ma dotati”. Nella commissione giudicatrice sedeva anche Brahms: dando un’occhiata alle sue musiche, e pur non conoscendolo di persona, lo giudicò un musicista di grande talento, consigliando anche il suo editore Simrock di pubblicare sue opere. Brahms non si sarebbe mai più rimangiato questo giudizio positivo e avrebbe continuato ad aiutare il collega. Quella che era principale aspirazione di Dvořák – idealizzare il folclore – incontra il gusto del pubblico. E in tutte le sue opere, anche sinfoniche, il ritmo e lo spirito della danza cèca guidano il talento inventivo del musicista. Egli non imita lo stile popolare, né lo trascrive, ma lo trasfigura, cogliendone la più pura essenza. Dvořák scrisse nove sinfonie, l’Ottava op. 88 venne scritta in un paio di mesi a Praga. La pagina possiede grande bellezza melodica, è serena, distesa; anche se la sua solarità, quasi eccessiva, spicca fra ombre malinconiche. Nell’iniziale “Allegro con brio” non ci sono sviluppi troppo tormentati e tortuosi: vi sono contrasti, ma anche pacificate tematiche di carattere bucolico. L’“Adagio” riprende un pezzo pianistico ispirato a un vecchio castello. L’“Allegretto grazioso – Molto vivace” non è né il classico minuetto, né uno scherzo, ma un valzer, interrotto da un Trio di sapore popolareggiante, come tutta la pur dottissima sinfonia. L’“Allegro ma non troppo” finale, finemente variato e d’inarrestabile forza ritmica, prevede una ricomparsa del tema del primo movimento. La chiusa è spettacolare.
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