blog di informazione e critica musicale a cura di Alessandro Romanelli

lunedì, giugno 19, 2006

Uto Ughi interpreta Mendelssohn

Si tratta, senz’ombra di dubbio, di uno dei più grandi capolavori della letteratura concertistica. Sto parlando naturalmente del Concerto per violino e orchestra in mi minore op. 64 di Mendelssohn. E’ un opera della tarda maturità creativa del celebre compositore tedesco, sempre che tale si possa definire in uomo che visse appena 38 anni! Per quanto mi riguarda ho scoperto il suo sublime concerto abbastanza tardi rispetto ad analoghi capolavori del genere ( da Bach a Beethoven, da Mozart a Brahms e Bruch) Come per Pergolesi, Mozart – fatte le debite proporzioni – Bellini, Schubert e altri geniali musicisti morti giovani o comunque nel pieno della loro più straordinaria stagione creativa, il Padreterno non è stato, a dire il vero, troppo generoso nemmeno con il geniale Felix. Tornando al suo concerto, va detto che si tratta di un lavoro ricco di idee tematiche e melodiche, dove trabocca tutto il tenero romanticismo del suo autore, fatto più di struggenti melanconie che di contrasti accesi e dialettici tra il solista e l’orchestra. Il modello, in sostanza, appare più Mozart che Beethoven (Bach a parte). Il tema del primo movimento – allegro molto appassionato – esposto dal violino senza alcuna introduzione orchestrale appare immediatamente di toccante dolcezza melodica; anche la seconda idea, palesata prima dai legni e poi dall’orchestra, risulta di incantevole bellezza, sicchè tutto il primo tempo del concerto è permeato da questa sublime dimensione lirica, in cui il solista e l’orchestra sanno dialogare amabilmente. Nell’andante, in forma di romanza, che giunge senza soluzione di continuità dopo il primo movimento, ecco un omaggio allo stile beethoveniano, quello cioè più liricamente rilasciato: qui le linee melodiche si dipanano fluide ed armoniose. L’atmosfera si riscalda poi (ma non troppo) nel Finale: un pezzo tutto giocato su accenti percorsi con rara leggerezza e dove il susseguirsi dei temi non conosce stanchezza alcuna, ma piuttosto dà vita ad un discorso musicale godibilissimo, che porta nella cadenza del violino tutte le opportunità virtuosistiche tipiche del concerto romantico. Le numerose e talora eccellenti interpretazioni in disco di questo capolavoro rendono ingrato il compito di chi scrive. Una scelta radicale è praticamente impossibile soprattutto tra virtuosi (ormai mitici) del calibro di David Oistrach, Jascha Heifetz e Yehudi Menuhin. Proprio quest’ultimo, che a soli sette anni esordì in un pubblico concerto suonando questo capolavoro, è stato per anni l’icona ideale del violinista mendelssohniano. Tra i violinisti di oggi - Pinchas Zukermann, Itzhak Perlman, Viktoria Mullova, Maxim Vengerov e Uto Ughi e tanti altri - che vi si sono cimentati con successo, ritengo di poter consigliare l’incisione discografica targata BMG dell’intramontabile violinista di Busto Arsizio, affiancato da un ispirato Georges Prêtre, a capo dell’ottima Orchestra Philarmonia di Londra. Qui Ughi risulta perfettamente a suo agio, ottenendo dal suo prezioso Stradivari cavate dolcissime e di sognante cantabilità, sapientemente fuse da una tecnica ragguardevole. Dal canto loro Prêtre e la Philarmonia ne sostengono la superlativa prova con vibrante sagacia.

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