Tutti pazzi per Carmen
Com’è bello vedere 450 ragazzi (ma forse saranno stati anche di più…) a teatro ad ascoltare l’opera. E’ accaduto al Teatro Piccinni di Bari l’8 novembre scorso. Si dava la Carmen di Bizet, uno dei capolavori assoluti dell’Ottocento. La stagione era quella della Fondazione Petruzzelli. Non si trattava di una prima, bensì di un’anteprima o prova generale aperta. L’idea non è nuova, perché il progetto con le scuole di Bari e provincia è già attivo da alcuni anni e lo cura l’Ufficio Scuola della Fondazione coordinato dall’impeccabile Terry Marinuzzi, ma è sempre straordinariamente bello ammirare tanti ragazzi comodamente seduti in platea o abbarbicati nei palchi a godersi in religioso silenzio un’opera come la Carmen ( con le sue 2 ore e 40 minuti di musica: non è mica uno scherzo per loro!). L’allestimento barese porta la firma di Federico Tiezzi sulle scene di Pierpaolo Bisleri e i costumi di Giovanna Buzzi. Si tratta di una Carmen dal sapore coloniale, ambientata in un pezzo d’Africa del Maghreb tra enclavi franchiste, suggestioni pasoliniane e genetiane, spostata di un secolo avanti rispetto all’azione originale (lì eravamo peraltro a Siviglia…o sbaglio?), attualizzata nelle intenzioni del regista forse anche per “regalarsi” una gitana di seducente spessore, bruciata com’è dal sole del deserto tra palme, sabbia e luci di raffinato gusto. All’inizio invece pensi, in verità, di essere piombato su un set da film di guerra con soldati in tuta mimetica stile Africa Korps. Le comparse entrano dagli ingressi laterali dei palchi, persino Escamillo e i suoi picadores fanno altrettanto nel quarto atto, sicchè gli spettatori non sono in platea, ma virtualmente dentro un immaginario palcoscenico. L’orchestra si divide tra la buca e un paio di palchi di proscenio (è il prezzo da pagare, quando si vuol allestire Carmen in un teatro di prosa, aspettando il ritorno agognatissimo del Petruzzelli). Buona complessivamente la direzione del maestro libanese George Pehlivanian, anche se priva, almeno a tratti, di quell'urgente verve ritmica, di quel pathos (quasi da tragedia greca), indispensabili per “incendiare” un’orchestra anch'essa composta prevalentemente da giovani, come quella barese. Nel cast c’è però una Carmen, signori miei, che valeva da sola il prezzo del biglietto. Si chiama Nino Surguladze: georgiana, naturalmente giovane, bellissima (peculiarità che in quest’opera non guasta mai), bravissima e ci regala un’interpretazione esemplare del ruolo, con tutte le sfumature e gli accenti possibili di una vocalità certo ancora in espansione, ma ampiamente supportata da una presenza scenica già assai significativa. Il Don Jose (Kostyantyn Andreyev) che l’affianca non è sempre all’altezza di una compagna di viaggio così brillante: traballa negli acuti, ma possiede, d’altro canto, un timbro, un colore che convince. Positivi l’Escamillo di Marco Di Felice e la Micaela di Maria Luigia Sborsi. Nei ruoli secondari degna di nota la vivace Frasquita di Teresa di Bari. Il Coro Lirico di Lecce, che ha sostituito negli ultimi giorni quello dell’Ente Opera di Bari, se la cava egregiamente insieme al piccolo coro dei bambini del Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari, istruito a dovere dalla brava Emanuela Aymone. Alla fine, per Carmen, morte in diretta sotto le telecamere, mentre cala una gigantografia della coloratissima Marilyn di Warhol, icona generazionale proprio come Carmen. I 450 ragazzi applaudono e fischiano come “impazziti”. Successo pieno per la mezzosoprano Nino Surguladze, giovane sì ma già con la stoffa di chi potrà fare molta strada nei teatri che contano.
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