blog di informazione e critica musicale a cura di Alessandro Romanelli

lunedì, ottobre 26, 2009

Vibrante successo per il "Sogno di una notte di mezz'estate" di Britten, prima opera andata in scena nel rinato Teatro Petruzzelli

Benjamin Britten ha sempre nutrito un particolare interesse per le rivisitazioni musicali avendo un primo contatto col bellissimo “Sogno di una notte di mezz’estate” shakespeariano quando curò una nuova versione del “Fairy Queen” di Purcell. Al Petruzzelli di Bari il titolo è andato in scena proprio ieri sera nell’atteso allestimento, in coproduzione con il Valli di Reggio Emilia, firmato dal regista Daniele Abbado e con la direzione musicale di Jonathan Webb. Si trattava, come noto, della prima opera lirica data nel rinato Politeama dopo 18 anni di chiusura. E non poteva non esserci un po’ di apprensione, fugata dall’ottima riuscita dello spettacolo. E l’opera britteniana già programmata dal sovrintendente Giandomenico Vaccari ben prima che si potesse immaginare la riapertura del Petruzzelli il 4 ottobre scorso era, va detto, pensata per spazi ben più angusti, come quelli del palcoscenico del Piccinni. Dopo “A beggar’s opera” andata in scena alcuni anni fa e “The turn of screw” allestito con successo nella scorsa stagione, ecco il “Midsummer night’s dream” (1960), nel quadro di una doverosa rivalutazione dell’opera britteniana che sta avvenendo in Italia solo da un paio di decenni. Il suddetto testo shakespeariano, prima delle celebri musiche di scena composte da Mendelssohn, aveva già peraltro conosciuto almeno cinque differenti trasposizioni musicali. Britten e il suo compagno di una vita Peter Pears, coautore insieme a lui del libretto dell’opera, decisero di non alterare minimamente il testo originale, limitandosi a ridurlo di circa la metà e a rimaneggiarlo soltanto nell’ordine temporale delle scene; a cominciare dall’incipit che non si svolge più nella reggia ateniese di Teseo ma direttamente nel bosco incantato. Libretto ben scritto, come di rara suggestione timbrica e armonica è la musica che sostanzia i due differenti mondi del “Sogno”: da un lato quello sovrannaturale affidato a voci acute, si pensi all’Oberon (controtenore) e Tytania (soprano di coloratura), mentre le quattro fate sono altrettante voci bianche, dall’altro, quello terreno dei rustici o artigiani che dir si voglia, punteggiato, talora anche con plateali soluzioni, da fagotto e ottoni. In mezzo volteggia la magica figura di Puck, attore acrobata i cui interventi sono solo “parlati” sottolineati dalla tromba o da circensi rulli di timpani. Per non parlare poi della divertente favola di Piramo e Tisbe rappresentata dai comici in cui Shakespeare dileggiava talune convenzioni teatrali, ormai degenerate in stucchevole manierismo, mentre Britten ne fa una sorta di breve opera buffa dove satireggiare a piacimento, ma con classe sopraffina, il melodramma ottocentesco. I cangianti stadi delle scene con i rispettivi, differenti mondi che poi troveranno finalmente un loro punto d’incontro, costituiscono solo alcune delle difficoltà per realizzare una messinscena intelligente e moderna, come quella di Abbado; agevolato peraltro, come lui stesso ha confermato in una conferenza stampa di alcuni giorni fa, dalla possibilità di lavorare su un palcoscenico spazioso, nuovo di zecca e tecnologicamente all’avanguardia, oltre che con personale assai qualificato. Nelle sue regie siamo peraltro abituati a vederlo asciugare tutti, o quasi, gli elementi naturalistici e descrittivi. Qui per esempio non c’è il bosco, ma quello che sembra a prima vista l’interno di un ottocentesco capannone industriale a più piani. Ottimo il lavoro con i differenti costumi dei numerosi personaggi svolto dalla brava Carla Teti. Dal punto di vista musicale, premesso che il cast era felicemente composto da cantanti specialisti del repertorio inglese (a parte le encomiabili, ma italianissime, Gabriella Sborgi, Hermia ed Elena Traversi, Hippolyta), tutti di valore indiscusso, da apprezzare anche la direzione eccellente di Jonathan Webb, egregiamente seguito dall’orchestra barese, che si conferma maestro di rara affidabilità per il Novecento musicale. Lo ricordiamo qui a Bari protagonista sia nel “Turn of the screw” dello scorso anno, sia in “Ascesa e morte della città di Mahagonny di Kurt Weill. Esemplare infine la prova dello straordinario Trinity Boys Choir, applauditissimo dal numeroso pubblico che ha riempito in ogni ordine di posti il Politeama barese. Si replica domani e giovedì alle 20.30.

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