Riccardo Muti e i suoi "Cherubiner"al Petruzzelli: un trionfo annunciato e meritato
Lo aveva sicuramente atteso con ansia questo momento: dirigere nel Petruzzelli dopo vent’anni; tanti, infatti, ne sono passati da quel lontano 1989 quando lo fece per l’ultima volta con la Filarmonica della Scala di Milano in un altro memorabile concerto. Riccardo Muti, è vero, poi è tornato nel 1996 con la stessa orchestra a Bari (in una gelida Basilica di San Nicola), tuonando contro una città indifferente e una classe politica locale incapace di ricostruire in tempi rapidi il suo teatro; e poi ancora nel 2003, quando fece visita al Conservatorio “Niccolò Piccinni” di cui fu allievo anche se per breve tempo (in quell’occasione gli fu attribuita la direzione onoraria dell’istituto musicale barese). Tre anni fa poi l’ultimo concerto a Bari, al Piccinni, con la neonata Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”. Lunedì scorso alle 10.15 il Maestro si è puntualmente recato in teatro accompagnato dalla moglie Cristina Mazzavillani, dal direttore generale dello spettacolo, Salvo Nastasi, dal sindaco di Bari Michele Emiliano, dal sovrintendente Giandomenico Vaccari e da Domenico Di Paola, unico socio fondatore privato della Fondazione Petruzzelli, che fortemente ha voluto sostenere anche economicamente in qualità di main sponsor il suo ritorno a Bari. Muti ha sottolineato la bellezza del teatro ritrovato, la sua ottima acustica, ma anche il fatto che il cartiglio sul palcoscenico porti una data diversa (2008: anno della completata ricostruzione) da quella originale (1903) della sua nascita. Dopo la prova generale con la “Cherubini” si è svolto un affollato brindisi offerto dalla Di Paola & Associati nel foyer, durante il quale Muti ha ribadito che la straordinaria bellezza del rinato Petruzzelli merita una programmazione artistica di pari prestigio e qualità (“non facciamo come sulle montagne russe…dove si sale e si scende”) e ha auspicato che si possano creare per l’immediato futuro le condizioni ideali per significative sinergie tra i teatri più importanti del centro-sud. In serata è poi arrivato il momento più atteso: il concerto in un teatro esaurito in ogni ordine di posti (anche se in platea, ad occhio e croce, c’erano almeno una quindicina di poltrone rimaste desolatamente vuote) ed è stato naturalmente un trionfo annunciato. Il programma, del resto, impaginato su tre splendidi capisaldi del repertorio sinfonico, prometteva scintille ed emozioni a iosa. Sin dalle prime note del Romeo e Giulietta ciaikovskiano si è avvertita la notevole qualità degli archi e dei fiati della “Cherubini” plasmati e diretti da Muti con impagabile cantabilità. Nella parte centrale dell’ouverture-fantasia, sono emersi con trascinante energia ritmica i vibranti sussulti dell’intera orchestra, premessa ideale alla misticheggiante conclusione del superbo lavoro del “divin” Pietro: interpretazione semplicemente esemplare. La suite dal balletto “Oiseau de feu” di Stravinskij avrebbe bisogno di un’orchestra dall’organico ben più ampio di quello giunto a Bari, oltre che di una concertazione di precisione millimetrica, maniacale, dove le dinamiche e l’agogica siano scolpite con un’elasticità ritmica ed una duttilità timbrica fuori dal comune. Al di là di qualche veniale defaillance, ne è venuta fuori una lettura, soprattutto nella parte finale, di avvincente e dionisiaco trasporto. Il piatto forte e quanto mai atteso della serata era però nella seconda parte del concerto: la Quinta sinfonia di Beethoven. E lì sia Muti che i suoi “Cherubiner”, come nell’applaudito concerto al Senato del giorno prima, sono stati straordinari per pulizia e omogeneità sonora, nitidezza timbrica e commovente aderenza espressiva alla meravigliosa partitura beethoveniana. La visione interpretativa che Riccardo Muti ci offre della celeberrima “Quinta” appartiene, com’è noto, più alla gloriosa lezione toscaniniana di un Beethoven titanico, muscolare, persino violentemente tellurico (quasi a presagire l’amato Bruckner della Sesta sinfonia?), e tiene forse meno conto degli studi filologici di questi anni, che hanno invece aperto la strada ad interpretazioni meno possenti per i decibel liberati nell’aria e più contenute nell’organico orchestrale. Ciò non toglie che il pubblico abbia apprezzato tantissimo l’esecuzione mutiana regalando al celebre direttore una davvero sentita “standing ovation” per lui e gli splendidi ragazzi della “Cherubini”; siparietto finale tra Muti ed una spettatrice un po’ sorda che gli grida per tre volte, indispettendolo non poco, di alzare la voce. Poi bis godibilissimo con l’ouverture dal “Don Pasquale” di Donizetti, mai ascoltata da chi scrive in una lettura più briosa, elegantemente cesellata e divertita di questa. Grazie Maestro e torni presto a trovarci a Bari…Magari con la Chicago Symphony?
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