blog di informazione e critica musicale a cura di Alessandro Romanelli

giovedì, marzo 08, 2007

Il cappello di paglia rotiano trionfa a Bari

Il cappello di paglia di Firenze è certamente il titolo più noto del teatro musicale di Nino Rota, recuperato sporadicamente dopo i successi che conobbe, non tanto alla prima rappresentazione assoluta del 1955 al Massimo di Palermo, quanto nei successivi tre anni alla Piccola Scala di Milano (regia di Giorgio Strehler) e poi nel 1975 nell’adattamento televisivo di Ugo Gregoretti, al Valli di Reggio Emilia (1987) nell’allestimento firmato da Pierluigi Pizzi; più di recente, altri significativi allestimenti si sono succeduti al Bellini di Catania (1996) alla Scala di Milano e al Regio di Torino (2004). Per non parlare delle entusiastiche accoglienze ricevute dall’opera rotiana in diversi teatri all’estero. A Bari, che è poi la città adottiva del maestro milanese, dove è stata tra l’altro materialmente composta l’opera nella casa di Torre a Mare, il Cappello mancava da un bel po’ di tempo. Bene ha fatto dunque l’attuale sovrintendente e direttore artistico della Fondazione Petruzzelli, Giandomenico Vaccari, a riproporla ieri sera in un teatro Piccinni praticamente esaurito. Come intuitivo e coraggioso è stato, sempre Vaccari, a pensare di mettere l’operazione-Cappello di paglia nelle mani di un “debuttante di lusso” come Alessandro Piva, affermato regista sì ma di cinema e assurto agli onori nazionali ed internazionali della cronaca grazie al suo sensazionale e pluripremiato “Lacapagira”. Un’idea per taluni addirittura temeraria, di cui però lo stesso Piva accettando, si è detto subito onorato. A dirigere l’Orchestra della Provincia di Bari è stato chiamato Giovanni Di Stefano, altro barese che dopo i suoi anni di rigoroso tirocinio come maestro del Coro del Petruzzelli, ha trovato altrove maggiori certezze e meritati riconoscimenti alla sua eccellente professionalità artistica. Per non parlare poi di un cast vocale interamente composto da giovani cantanti, tutti di valore. Che dire? Per molti è da considerare, ma siamo ancora a metà stagione, la punta di diamante di questo primo cartellone dell’ “Era” Vaccari. Riassunto delle puntate precedenti: una discussa Carmen d’esordio, che ha fatto (quasi) gridare allo scandalo l’autorevole critico musicale del Corriere della Sera Enrico Girardi, un buon “Assassinio nella Cattedrale” di Pizzetti, che forse chi scrive riuscirà ad ascoltare al meglio (considerata la pessima acustica della Basilica di San Nicola) solo con il supporto del DVD coprodotto dall’ente lirico barese con la tedesca Unitel, e infine una Vedova Allegra di Lehár che per quanto mi riguarda è stata, tutto sommato, interessante. Nino Rota ha dunque portato fortuna ieri sera alla “sua” Bari, dove per trent’anni (1950-1979) fu apprezzato e amatissimo direttore del locale Conservatorio. La regia di Piva di rispettoso garbo testuale, leggerissima e soprattutto elegante nella gestione degli attori-cantanti (perché tali devono essere e comportarsi in quest’opera così particolare) ha trasportato la vicenda dell’omonimo vaudeville ottocentesco di Labiche e Michel musicato e riscritto da Rota e dalla madre Ernesta, nel ventennio fascista. Una scenografia suggestiva, ora surreale (pennellando alla Magritte), ora ispirata ad un cordiale minimalismo, quella di Maria Teresa Padula, “giocata”, con la complicità di Piva, su divertenti ammiccamenti tra Parigi e Bari (nel quarto atto prima la Vallisa vista da Piazza Ferrarese e poi, alla fine, la magia - tutta felliniana - di un lungomare barese sul cui sfondo brilla come fosse il mitico “Rex” la Torre Eiffel) seguendo a menadito l’antico adagio che se “Parigi avesse il mare sarebbe una piccola…Bari”. Belli oltre che curati in ogni dettaglio i costumi (meraviglioso quello della Baronessa di Champigny) disegnati da Tommaso Lagattolla. Due, poi gli inserti visivi proposti: il primo tratto dal celeberrimo film muto di analogo soggetto firmato dal grande cineasta Renè Clair nel 1927, l’altro, inserito durante il “temporale” realizzato dal regista barese con l’ausilio del filmaker austriaco Thomas Woschitz. Dal punto di vista musicale le cose non potevano andare meglio. Esemplare la direzione musicale di Di Stefano, capace di ottenere il massimo da un’orchestra, come quella della Provincia di Bari che da 16 anni, va detto, non può contare su una sala da concerti degna di tal nome (ma questo probabilmente il critico Girardi non lo sapeva quando l’ha liquidata e mortificata con troppa sufficienza nella recensione di Carmen sul Corriere) e che al Piccinni considerato lo spazio angusto della buca è spesso costretta a utilizzare un paio di palchi di proscenio per alcuni fiati, l’arpa e i timpani. Bravo Di Stefano anche nel disegnare, considerato il contesto non proprio ideale, i giusti equilibri tra le voci e l’orchestra, costruendo poi una lettura di scattante e vibratile leggerezza. Il cast vocale poteva poi contare sulle validissime voci e sul significativo contributo scenico e attoriale di Aldo Caputo (un appassionato squillante Fadinard) Cinzia Rizzone (perfetta nel ruolo di Elena: sposa ingenua e svampita al punto giusto), Domenico Colaianni (un Nonancourt di straordinaria abilità vocale e scenica), Giampiero Ruggeri (Beaupertuis), Gabriella Sborgi (Baronessa). Degni di nota anche gli altri cantanti impegnati in ruoli secondari, tutti peraltro perfettamente caratterizzati dalla regia di Piva; segnaliamo, a tale proposito, anche per l’esilarante mimica la modista di Angelica Girardi, Marco Camastra (Emilio) e Stefano Pisani (nel doppio ruolo dello zio sordo, Vezinet, e del Visconte Achille di Rosalba). Buono il contributo, seppure marginale nel contesto dell’opera di Rota, del Coro della Fondazione preparato da Luigi Petrozziello. Successo davvero trionfale per una produzione targata “Fondazione Petruzzelli”, che sarebbe bello e importante trasformare, magari in un FilmOpera proprio con l’eccellente regia cinematografica di Alessandro Piva.

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