Luisa Miller di Verdi: un capolavoro da riscoprire
La Luisa Miller di Verdi è un’opera un po' snobbata dai principali teatri italiani. Certo, per soggiogare il pubblico non possiede la pregnanza drammaturgica e il pathos di Macbeth o il giovanile ardore, i superbi cori di Nabucco ed Ernani, eppure essa racchiude in sé tanti e tali motivi d’interesse, che non possiamo fare a meno di collocarla tra le opere più riuscite e belle del genio di Busseto. Luisa Miller è in effetti un’opera-laboratorio di quei futuri esperimenti stilistici verdiani (dal Rigoletto al Simon Boccanegra, da Traviata a Otello) e al contempo una sintesi straordinaria di ciò che il Maestro aveva sino ad allora prodotto.
Il Festival Verdi di Parma ha pensato bene di dare lustro a questo capolavoro un po’ trascurato, offrendole quella visibilità necessaria che gli mancava da troppo tempo. E cioè di farne, a ragione, lo spettacolo inaugurale di quest’anno nello splendido e storicamente significativo teatro che è il Regio. Direzione d’orchestra affidata ad una consumata, esperta bacchetta d’opera qual è quella di Donato Renzetti a capo dell’Orchestra e del Coro del Regio di Parma, regia, scene e costumi di Denis Krief e un cast, almeno sulla carta, di livello stellare. Fiorenza Cedolins (Luisa, nella foto), Marcelo Alvarez (Rodolfo), Leo Nucci (Miller), Francesca Franci (Federica) e Giorgio Surian (Il Conte di Walter), solo per citarne alcuni . Il nuovo allestimento è in coproduzione con il Teatro Regio di Torino e il Comunale di Modena. Ospiti graditi del Regio di Parma nella recita inaugurale del 1° ottobre, abbiamo potuto per la prima volta apprezzare l’eccellente livello dell’orchestra e del coro di Parma, oltre all’ottima acustica che offre il teatro grazie probabilmente anche al perfetto parquet che alcuni teatri italiani (penso in primis al Piccinni di Bari) si ostinano a non avere in dotazione, preferendogli super-assorbenti moquette. Lo spettacolo di Krief si prende la licenza di spostare l'ambientazione della vicenda schilleriana dall'originale Tirolo alla campagna padana (in pratica proprio quella dei luoghi verdiani), ma è disegnato con intelligente misura: scene essenziali, adeguati costumi, qualche proiezione video di stampo bucolico e una sensibile capacità di far muovere con ordine protagonisti e masse corali sulla scena.
Dal punto di vista musicale la direzione di Renzetti sin dalla celeberrima sinfonia non è parsa particolarmente precisa e cesellata nei colori, né tagliente e vigorosa quand’era necessario, pur disponendo di un’orchestra davvero valida. Solo nel terzo atto il maestro abruzzese è sembrato più a suo agio, conferendo la giusta tensione allo stupendo duetto e al commovente finale dell’opera. Del cast non si può non ricordare l’ottima prova interpretativa della Cedolins che sfoggia sopraffina tecnica vocale, solo con un paio di veniali eccessi nelle mezze voci non proprio impeccabili; la sua è comunque una Luisa di vibrante e appassionata bellezza anche scenica. Apprezzabili le prove di Marcelo Alvarez, il cui sensualissimo timbro sembrerebbe, peraltro, almeno nel registro acuto, come nella grande romanza (“quando le sere al placido”) un po’ affaticato (troppe recite in giro per il mondo?) e il celebre Leo Nucci, ancora in discreta forma nonostante da tempo non sia più un...giovanotto; qui gioca in casa e riceve ovazioni a scena aperta peraltro un po’ sproporzionate rispetto ai risultati ottenuti in scena. Operazione dunque abbastanza riuscita, che ha soprattutto permesso di riscoprire un’opera verdiana dagli indubbi meriti musicali e drammaturgici.
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