"I vespri siciliani di Verdi al Regio di Torino" di Maurizio Dania
"Io credo che su ogni avvenimento ci siano diverse possibilità di interpretazione. Dopo aver cantato l' Inno Nazionale Italiano, tutto il teatro in piedi, alcuni con la mano sul cuore, la riflessione sullo spettacolo abbia diviso il pubblico perché riflettere sull’Italia di ieri, come su quella di oggi, aggiornando l’epoca e non collocandola intorno al 1200, sia un’esperienza intelligente che richiede un certo interesse ed uno sforzo culturale ad ogni persona presente. Inizio questa nota dopo aver ascoltato le impressioni di Gualerzi, di altri personaggi del mondo della critica, dopo aver chiacchierato con il sovrintendente Vergnano, esponendo con altri il mio pensiero. A parte la constatazione che c’è chi muta il profilo di ciò che esprime, in pochi secondi, a seconda dell’interlocutore, (e non mi riferisco al bravissimo Vergnano), ho trovato la regia di Davide Livermore assolutamente non provocatoria, ma che in teatro, con l’opera di Verdi, trasmette in poche ore, l’esatta situazione in cui ci troviamo a vivere nel nostro Paese, con qualche momento drammatico, specie attraverso i video, ma anche commovente. L’Italia post risorgimentale è questa. Anche se qualche signore ha voluto dividere il proprio sentimento, e questo è un sintomo, tra una destra che pensa con molta retorica ad una realtà che non esiste, ed una sinistra che esponendo la storia e la cronaca, così come è, appartiene ad un lato della nazione che non governa, ma che sarebbe politicamente più corretta. Ho ascoltato affermare che le automobili distrutte e i rifiuti tra le macerie, lanciate da personaggi non protagonisti, che la scena in cui alcuni fotogrammi facevano vedere il corpo senza vita, probabilmente di un magistrato assassinato, avrebbero offeso addirittura la memoria di Falcone, quando invece credo che in quella scelta ci fosse il corpo di molti morti, anche innocenti che come si nota ad esempio, nell’integrale del film di Martone, presentato a Venezia nel 2010, appartengano a uomini uccisi, con una loro dignità ed un loro ideale, morti per unificare l’Italia, ma che probabilmente non avevano nessun desiderio di essere liberati da chi regnava nelle due Sicilie, e non amavano gli invasori. Dal primo atto, all’ultima scena il pensiero di Livermore compie un tragitto che sembra non trovare coerenza; invece, per me tutto torna. La riflessione registica è in fondo quella verdiana: si parla dell’Italia di oggi, di ieri, si prospetta quella di domani, che come ho appena citato, anche in sala divide gli animi che non sono solo astrazioni del gusto, ma profondi sentimenti governati dalla ragione. Ovviamente chiunque pensa di averne e che la sua sia quella giusta ma pochi si attengono alla cronaca. Ciechi, sordi, talvolta muti. Una realtà di ieri, diventata storia, anche se scritta dai vincitori, e di oggi, quotidiana, sofferta, combattuta; in cui la televisione, la cattiva informazione, (in scena fin dal funerale di Stato e poi successivamente all’inizio della canzone di Elena), distorce la verità, la occulta, non la svelerà mai. Ed ecco allora il parallelo tutt’altro che irreverente nei confronti della vedova di chiunque sia stato ucciso dalla mafia, : Elena è abbandonata da chi doveva proteggere lei ed il personaggio di cui era innamorata;come la signora Schifani; il microfono le venne tolto. Elena è ancora più vendicativa, almeno nell’anima. “Perdono, ma mettetevi in ginocchio”. La Sicilia dei Vespri, è il modello, l’esempio di ciò che è ì’Italia. Di ieri, oggi, probabilmente anche di domani,riscrivo. La reazione della sala né è la testimonianza, il modello, chiarissimo, a mio giudizio. Alla fine metà contestava, la maggioranza applaudiva la regia. Scritto questo, vorrei chiarire che si è trattata di una stupenda esibizione musicale, sottolineando solo due aspetti che potrebbero essere considerati. Noseda, bravissimo nel concertare, porta l’orchestra ad una sonorità così elevata e coinvolgente, che non può non suscitare ammirazione, ma nell’ultimo atto spegne un poco la voce di Ildar Abdrazakov, un Giovanni da Procida comunque eccezionale, dal bellissimo timbro; quindi il coraggio e la professionalità di Elena, Sondra Radvanovsky, che ha cantato nonostante una raucedine, e probabilmente un’influenza che sovente non le ha permesso di appoggiare benissimo il fiato ed anzi l’ha costretta a mortificare l’aria “Arrigo tu parli a un core”. Il soprano non è mai andato fuori intonazione, ma gli acuti finali li ha emessi contraendo e schiacciando il diaframma con entrambe le braccia, probabilmente perché anche le forze fisiche si stavano esaurendo. Noseda, l’ha ringraziata, con la parola ed un cenno del capo, quando come di consueto, la protagonista femminile, si reca presso le quinte per invitare il maestro a presentarsi al pubblico. Pubblico che ha comunque applaudito moltissimo. Un trionfo per i cantanti e per il concertatore e direttore d’orchestra, per tutti i lavoratori del teatro, che hanno portato al successo questi Vespri e che si sono presentati in scena, per dimostrare a quanti ancora non sentono, che la culla della cultura e della musica, l’Italia, non ne deve diventare la tomba. Kunde ha cantato stupendamente. Il tenore ha 57 anni. Ha cambiato il modo di esporre le proprie virtù da almeno una decina di anni, ha compiuto un percorso tecnico e professionale esemplare: stupendo il falsettone emesso nel finale, persino meno insolente e più aderente alla musica di quello che non fu capito a Milano, quando lo emise Merrit. Voce possente, acuti squillanti, perfetta aderenza al personaggio: non sprecherei altri aggettivi. Davvero eccezionale la sua \prova. Anche Franco Vassallo ha cantato bene: non al limite dei suoi mezzi, ma utilizzandoli tutti. Guido di Monforte, governatore di Sicilia, è apparso uno Scarpia forse meno elegante, (cito il personaggio), ma perfido, crudele, libertino, incurante delle leggi, assolutamente espressivo nell’essere un raffinato mentitore. Musicalmente però è vicino a Filippo II°. Non ha commesso alcun errore; come del resto gli altri interpreti maschili principali ed il timbro risuonava vigoroso in una sala che non aiuta le voci, generalmente. Abdrazakov ha un magnifico fisique du role, ma credo che oggi sia difficile trovare al mondo un cantante che riesca ad interpretare “O tu Palermo”, con una venatura di tristezza, un’armonia semplice e corretta, sposando la frase scritta con le espressioni testuali di Verdi; una malinconia che nasconde la fierezza dell’appartenenza alla sua terra e che farà sorgere dentro l’anima il fuoco che lo porterà a diventare il ribelle che oggi sarebbe considerato un terrorista se anch’egli non lottasse per un’idea di libertà e di Patria Per finire questa lunga analisi, cito quel che è noto, ma che vale il caso di ricordare:” Verdi con la proposta dei Vespri, con un’orchestrazione impegnata e studiata, cambia lo stile, abbandona di fatto il bel canto e coltiva la parola scenica, scolpisce i personaggi come in realtà sono”, dando al dramma un tempo indefinito ed una sequenza serrata allo stesso . Stupendo, come al solito il coro. L’Italia è questa." MAURIZIO DANIA
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page